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Olivi e olio, tradizione millenaria

In Campania l’introduzione della coltivazione dell’olivo risale a millenni fa. L’opera di diffusione di questa pianta è attribuita infatti ai fenici e ai greci che la portarono in tutti i territori colonizzati non solo per la produzione di olio a scopo alimentare, ma anche per ricavarne unguenti e profumi a uso estetico o per essere bruciato in omaggio alle divinità. Nel Cilento, in provincia di Salerno, ricerche archeo-botaniche hanno documentato la presenza dell’olivo già nel VI secolo a.C.: la tradizione vuole che le prime piante fossero introdotte dai focesi. L’olivo era certamente presente tra i templi di Paestum e le rovine di Velia.

In Campania la superficie complessiva coltivata a olivo interessa circa 70mila ettari e si colloca al sesto posto tra le regioni italiane per superficie olivetata, pari al 5,9% della superficie nazionale. A tale area corrisponde un patrimonio olivicolo di oltre 8,5 milioni di piante. Gran parte dell’olivicoltura è collocata in provincia di Salerno, che da sola, con i suoi 39mila ettari, rappresenta il 56% del totale, seguita dalla provincia di Benevento con il 21%. La coltivazione dell’olivo in Campania interessa oltre 90mila aziende e l’80% dei comuni della regione, con una produzione media annua che oscilla intorno ai due milioni di quintali di olive. In Campania, la provincia di Salerno è la principale area produttrice di olive e olio con 38.161 tonnellate di olive raccolte e 5.182 tonnellate di olio prodotto nell’ultima campagna olearia. Napoli presenta volumi produttivi più bassi: 3.831 tonnellate di olive raccolte e 510 di olio prodotto. Mentre Benevento, Caserta e Avellino si collocano in una posizione intermedia, rispettivamente con 18.471, 11.467 e 10.561 tonnellate di olive raccolte; e 2.095, 1.276 e 1.400 tonnellate di olio prodotto.

«I dati – sottolinea Confagricoltura Campania – ci dicono che la regione contribuisce per il 5,8% alla produzione nazionale di olive (82.491 tonnellate su 1.413.139 tonnellate) e per il 5,3% alla produzione di olio (10.463 tonnellate su 197.710 tonnellate). La resa media regionale (12,68%) è leggermente inferiore alla media nazionale (13,99%): significa che la maggior parte degli oliveti è obsoleta e poco produttiva».

La Campania ospita ben cinque Dop-Denominazione di origine protetta di olio extravergine d’oliva: Cilento, Colline Salernitane, Irpinia-Colline dell’Ufita, Penisola Sorrentina, Terre Aurunche. Tuttavia è ancora limitata  la produzione di oli Dop rispetto alle enormi potenzialità  regionali, soprattutto a causa di errate pratiche agronomiche che comportano ancora una eccessiva produzione di olio lampante. Infatti, in Campania, le aziende che praticano la coltura dell’olivo sono in gran parte al di sotto dei cinque ettari, una dimensione che non consente l’adozione dei moderni sistemi di coltivazione intensivi e, di conseguenza, l’abbattimento dei costi di produzione.
Alla frammentazione aziendale si aggiunge la modesta specializzazione, data l’elevata presenza di impianti promiscui, la scarsa possibilità  dell’impiego delle macchine, a causa delle caratteristiche orografiche dei luoghi di coltivazione (forte diffusione nei terreni collinari e montani), la carenza di risorse idriche in alcuni ambienti, la cui disponibilità  rappresenta un importante fattore per il raggiungimento di livelli qualitativi ottimali. Il vero punto di forza dell’olivicoltura campana è il patrimonio varietale estremamente ricco e diversificato. A oggi sono state descritte e catalogate oltre 60 varietà autoctone attualmente coltivate e tramandate da secoli, tra cui quelle maggiormente diffuse sono Ogliarola e Ravece nell’Avellinese; Ortice, Ortolana, Racioppella nel Beneventano; Sessana e Caiazzana nel Casertano; Olivo da olio nella Penisola Sorrentina e infine Pisciottana e Rotondella nel Salernitano.

Adottare un piano regionale finalizzato al rilancio del settore olivicolo-oleario diventa una necessità. Simbolo di eccellenza e tradizione, nonostante il suo enorme potenziale, l’olivicoltura campana è alle prese con sfide senza precedenti dovute a una produzione che cala strutturalmente, costi di gestione in aumento, un contesto climatico sempre più ostile, ma anche all’invecchiamento degli impianti.

Una crisi che coinvolge l’intero sistema nazionale, alle prese con 100mila tonnellate di olive raccolte in meno nella campagna 2024/2025 rispetto alla precedente.

«Nella nostra regione, la maggior parte degli oliveti (61%) ha oltre 50 anni – fa sapere Confagricoltura Campania – Si avverte la necessità di un Piano olivicolo regionale che unisca innovazione, sostenibilità e valorizzazione del prodotto, incentivando la riconversione degli impianti obsoleti con modelli intensivi e superintensivi e modernizzando i frantoi per garantire oli di maggiore qualità e competitività. Parallelamente, è fondamentale tutelare gli oliveti storici e le aree collinari, incentivando la manutenzione e il recupero degli oliveti abbandonati per salvaguardare il paesaggio e mitigare i rischi idrogeologici».

Altra opportunità è quella offerta dall’oleoturismo: «Con un intervento strutturato e coordinato, basato sulla sostenibilità, si potrebbero generare opportunità economiche per le aziende agricole».

Tra le altre urgenze, maggiori investimenti nella ricerca scientifica e nell’applicazione di soluzioni contro le malattie delle piante; la valorizzazione del prodotto con campagne di educazione al consumo, promozione mirata e maggiore trasparenza sui mercati; e infine sostegno economico e formazione per le aziende. (M.C.)

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