I cugini di Starnone certi: è lui Elena Ferrante

In un libro svelati particolari inediti: “Siamo noi i personaggi dell’Amica geniale”

 

di LINO ZACCARIA 

Il mistero sull’identità di Elena Ferrante si arricchisce di un nuovo capitolo. E si tratta di una novità forse decisiva, perché questa volta entrano in gioco le voci di dentro. Di dentro la famiglia e sono voci, quindi, autorevoli e credibili. Finora da questo versante c’erano stati solo sussurri, qualche indizio trapelato da un’intervista concessa a Vittorio del Tufo, anni fa, sul “Mattino”. Ora invece i parenti di Domenico Starnone escono allo scoperto, con un libro (“Elena Ferrante, un’amica geniale tra fantasia e realtà”, edito da Amazon) di Paolo Dordei, figlio di Nunzia Mattiacci, cugina prediletta dello scrittore. Da ragazzini facevano praticamente coppia fissa, coetanei, compagni di giochi e complici, al Rione Luzzatti, dove Nunzia abitava con la madre e con tutta la grande famiglia Mattiacci. E dove Starnone andava a trascorrere tutti i suoi momenti di libertà, soprattutto estivi, con frequenti puntate alla biblioteca del professor Collina, quella stessa biblioteca dove Lila andava a prendere i libri per leggere e studiare e per reggere il passo rispetto ai progressi che Lenuccia faceva al liceo.
Dordei premette che tutto è nato dalla lettura di L’amica geniale: “L’autrice, con una straordinaria abilità narrativa, ha saputo evocare luoghi e persone con tale intensità, da riuscire a farmi riscoprire le mie stesse origini. In ogni sfumatura e nei dettagli ho sentito risuonare gli echi della mia famiglia materna, i Mattiacci”. E conclude il suo lavoro con una quasi certezza. “Le evidenze emerse hanno permesso di mettere in luce la figura di Domenico, Mimmo o Mimì – la cui personalità affiora prepotentemente nei principali personaggi dei romanzi della Ferrante.
Questa figura risulta predominante rispetto ad altre, pur trovandosi in equilibrio con un altro soggetto che emerge con forza nei capitoli della tetralogia: Titina, all’anagrafe Mattiacci Nunzia. Mia madre. Mimmo e Titina sono le due figure che, indubbiamente, possono essere ricondotte ai personaggi di Lila e Nino, pur presentando sfaccettature e sfumature che ricordano anche Lenù.
Non a caso, la voce narrante della tetralogia ci racconta la sua vita, vissuta nei vicoli di quel rione popolare da cui riesce a emergere, fino a farsi strada nel mondo della cultura.
Questi racconti, così ben delineati, tracciano un preciso ritratto della vita di Starnone, dalla sua infanzia al presente. La sua figura si inserisce perfettamente in un contesto socio-spaziale e temporale reale, che coincide in modo sorprendente con quello descritto in L’amica geniale.
Questo potrebbe già bastare a dissipare ogni dubbio sulla vera identità di Elena Ferrante”.
Ma in base a quali argomentazioni Dordei giunge alle conclusioni appena riportate? Le voci di dentro, appunto, i racconti della nonna Maria (zia di Rusinè, la madre di Starnone) e della madre Nunzia, degli zii e dei cugini e qualche ricordo personale, seppur sfumato, risalente agli anni della sua fanciullezza trascorsi al Rione. E soprattutto la comparazione tra fatti, episodi e personaggi presenti nei libri di Elena Ferrante e a suo dire perfettamente aderenti a fatti, episodi e personaggi relativi alla sua famiglia, e che Starnone conosceva benissimo per averli condivisi in quei lontani anni ’50 del Novecento.
Lungo tutto il racconto che si snoda in 120 pagine Dordei ne elenca tantissimi. A cominciare da quello più generale che riguarda la grande famiglia che ruotava attorno alle sorelle Di Lorenzo, ben cinque delle quali due andate in sposa a due fratelli Mattiacci (un pasticciere e un salumiere), una terza a un fruttivendolo e la quarta, Anna sposata D’Alessandro e madre di Rusinè, a sua volta moglie del ferroviere-pittore Federico Starnone (rispettivamente madre e padre di Domenico, entrambi protagonisti di “Via Gemito”, lo straordinario romanzo premio Strega).
Le famiglie di pasticcere, salumiere e fruttivendolo sono il nucleo portante dei personaggi della quadrilogia ferrantiana, e quasi tutti i singoli componenti corrispondono nel carattere e nelle fattezze fisiche (nonna Maria zoppicava e aveva gli occhi azzurri proprio come la madre di Lenuccia) ai singoli componenti delle famiglie dei cugini di Starnone. E, guarda caso – commenta Dordei – molti dei nomi di madri e figli sono adottati dalla Ferrante: Assunta, Giuseppina, Nunzia, Lenù, Rino, Enzo.
Esaurito questo preambolo più generale, Dordei passa poi ad elencare esempi pratici, che costellano tutto il resto del suo lavoro. Ci limitiamo a segnalare i passaggi più rilevanti.
L’autore comincia con l’assimilare il rapporto fra Lila e Lenuccia a quello che si era appunto ingenerato fra la madre Nunzia (detta Titina) e Mimmo (Starnone) e aggiunge che i tratti somatici (carnagione scura, capelli neri, minuta e magra) e il temperamento deciso di Lila rispecchiano esattamente i tratti distintivi della madre Nunzia. Aggiunge che anche sua madre, come Lila, fu costretta ad abbandonare gli studi per aiutare la famiglia.
Lenuccia invece è l’alter ego dello stesso Starnone, che primo laureato (in Lettere classiche come Lenuccia) in famiglia, scala posizioni sociali e diventa scrittore (sempre come Lenuccia).
Dordei dalla madre apprende che Starnone, all’epoca sempre munito di fogli bianchi tenuti insieme da una spilla da sarta, sfogava la sua passione per la scrittura annotando ogni dettaglio delle esperienze di vita vissute al Rione. Proprio come Lila (sdoppiamento delle personalità delle due amiche per significare un unico personaggio), che riporta il vissuto di ragazzina nel volumetto “La fata blu”.
E sempre dalla mamma apprende che quando era ragazzina una delle prove di coraggio cui si sottoponeva era quella di arrampicarsi fino alla finestra di casa, al pian terreno, usando una sbarra di ferro come appiglio. Proprio come fa Lila, che nel racconto della Ferrante si appendeva alla finestra al pian terreno dell’abitazione della signora Spagnuolo. Chi se non Starnone poteva conoscere e descrivere questi particolari?
Ma uno degli argomenti-clou di questa ricostruzione riguarda sempre abilità accreditate dalla Ferrante a Lila che “si infilava sotto pelle la ruginosa spilla francese………………e io osservavo la punta di metallo che le scavava un tunnel biancastro nel palmo della mano”. Un’abitudine bizzarra commenta Dordei, che in famiglia praticava zia Elena, da tutti chiamata Lenù.
Ed ecco un altro episodio descritto dalla Ferrante che rispolvera antichi ricordi di Nunzia, la mamma dell’autore. Un giorno stavano giocando lei, la sorella Giannina e Mimmo (Starnone). Ad un certo punto le sorelle cominciarono a litigare e lei, Nunzia, per farle un dispetto strappò la bambola che Giannina aveva in mano e la gettò nella piccola finestra dello scantinato. Proprio come la Lila che nel primo libro di L’amica geniale scaraventa la bambola nello scantinato di don Achille.
C’è poi una descrizione della Ferrante, identificativa di un caseggiato (”A destra uscendo dal cancello si distendeva il filo di una campagna senza alberi sotto un cielo enorme.  A sinistra c’era un tunnel a tre bocche…”. Esattamente la posizione del cancello 140, dove abitavano i cugini di Starnone.
Un altro elemento su cui riflettere: la descrizione fisica di Silvio Solara (“grosso, una pancia imponente, occhi blu e fronte altissima”) corrisponde esattamente a quella del nonno Espedito, pasticciere, che aveva avviato l’attività commerciale partendo da uno scantinato, proprio come i Solara della Ferrante. Tutto si tiene. E anche la storia del razzo fatto esplodere dai Solara la sera di Capodanno riporta a un episodio realmente accaduto in casa Mattiacci.
Ma non è solo in L’amica geniale che Dordei ha rinvenuto tracce riferibili alla grande famiglia Mattiacci (molto simile al cognome Carracci utilizzato da Ferrante). Anche in L’Amore molesto, secondo Dordei, è possibile risalire a chiari riferimenti al rione Luzzatti. Scrive: “…racconta di una storia di violenza subita da una ragazzina in un laboratorio di pasticceria. Avevo bisogno di verificare se quell’evento drammatico avesse un fondo di verità, per cui interrogai mia madre, che mi confermò che quella scabrosa vicenda era accaduta davvero, scuotendo profondamente il rione. ‘Era sulla bocca di tutti.’, mi disse ‘ma nessuno osava parlarne’.
La ragazzina era divenuta l’oggetto di piacere di un orco, un familiare non diretto, che ne aveva fatto il suo giocattolo sessuale. Per riscattare il buon nome del bar pasticceria di famiglia, mia mamma volle puntualizzare che il ‘fattaccio’, come lo definì, non avvenne nel laboratorio del papà, ma all’interno del locale commerciale dell’orco, poco lontano. Quell’ignobile essere aveva realizzato un soppalco, allestito con un giaciglio dove trascorreva la notte.
Mia mamma aggiunse che nel rione si diceva che la ragazza sparisse per ore e nessuno sapesse dove andasse o cosa facesse; spesso, però, la si vedeva uscire da quel locale tutta ‘scompigliata’. Anche in questo caso, la Ferrante era a conoscenza di un fatto realmente accaduto.
Questo confermò i miei sospetti: solo chi aveva vissuto in quel contesto e in quel periodo poteva conoscere anche gli eventi più aberranti. Per lei, come per me, alla luce di questo ulteriore riscontro, era chiaro che dietro la scrittrice non potesse esserci altro che Mimmo Starnone. Mi bastò questo per affermare con assoluta certezza che gli eventi, i personaggi, il periodo storico e la location di L’amica geniale, associati all’evento descritto in L’amore molesto, riportassero in modo inequivocabile alla figura dell’autore. Domenico si sovrappone e si fonde con Elena, non solo perché lo scrittore è cresciuto in quel rione proprio nel periodo in cui si svolgono i romanzi della Ferrante, ma anche perché è custode diretto di eventi e personaggi reali. Starnone ha saputo ‘aggrovigliare’ le storie con una sapienza letteraria ineguagliabile”.
L’idea di scrivere un libro che parlasse della storia della famiglia Mattiacci connessa agli avvenimenti descritti in L’amica geniale ha avuto il placet entusiasta di tutti i componenti della famiglia al termine di una riunione apposita, durante la quale furono passate in rassegna anche tutte le foto riferite agli anni presi in esame dal romanzo. Da quel confronto tutti unanimemente trassero le conclusioni dell’attribuzione di paternità degli scritti di Ferrante al nipote-cugino Starnone
Osservando quelle foto i parenti di Starnone si resero conto che anche i personaggi trasferiti nella fiction televisiva (la misteriosa Ferrante figura tra gi sceneggiatori) denotavano fisionomie, aspetti e persino sfoggio di indumenti simili a quelli dei Mattiacci. Insomma un convincimento generale tra i parenti di Starnone: solo lui poteva conoscere quelle realtà, ed ha trasposto nei romanzi firmati Ferrante il suo vissuto e quello dei suoi parenti e il caleidoscopio delle mille esperienze maturate in gioventù al Rione Luzzatti.

Share this content:

Digital Strategist di Napoli, si occupa da oltre 10 anni di Social Network e Digital Marketing. Curriculum è ampio e vario dalla fotografia e video analogici alle attuali tecniche CGI. Spotte.it è il suo marchio di produzione.

Commento all'articolo